Legge 194: un diabolico rovesciamento della verità

“Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”.  No, non è una “dichiarazione universale dei diritti della mamma e del bambino”, ma è l’incipit della legge nel cui nome, in 37 anni, sono stati abortiti quasi 6 milioni di bambini.

Queste parole “tragicamente comiche”, come le definiva il grande Palmaro, sono solo un saggio dell’ipocrisia che contrassegna una legge che fu introdotta nel 1978 grazie alla propaganda menzognera fatta di numeri spropositati degli aborti clandestini e delle donne morte di aborto.

Quanto al contenuto poi, nella 194 tutto è oltraggiato: la scienza, la legge naturale, il diritto penale, la Costituzione, il buon senso. E’ un diabolico capovolgimento della Verità trasformare, attraverso eufemismi, sofismi e contorsioni lessicali, uno strumento per dare morte in un nobile progetto per la tutela della maternità e, addirittura, della Vita.

Sembra incredibile, ma è proprio alla forma così edulcorata della 194 che tanti cattolici, tra intellettuali e politici, si ispirarono per appoggiarla e ancora oggi si ispirano per esaltarla considerandola “buona”.

Ne è un esempio la frase citata sopra, “lo Stato… tutela la vita fin dal suo inizio” che ha indotto, anche preti, ad affermare: “la 194 è nata per difendere la vita fin dal suo concepimento”. Con 6 milioni di bimbi abortiti ci vuole coraggio!

Come pure c’è chi giura che la 194 “non è eugenetica”. Una plateale negazione della realtà di 4 mila bambini malformati abortiti ogni anno oltre i 90 giorni, in crescita esponenziale (+ 180% dal 1990), resa possibile da una delle manipolazioni formali di cui sopra. E’ bastato, infatti, scrivere che l’aborto oltre il primo trimestre è ammesso non per togliere di mezzo un bimbo malato, ma perché la sua malformazione procura alla donna un grave  pericolo per la sua salute psico-fisica. Il risultato mortifero non cambia, ma per gli estimatori della “buona legge” non conta.

Ma salta fuori anche una “194 dissuasiva dell’aborto” o che “la 194 non configura l’aborto come diritto” e ora, l’ultima perla: “per la 194 l’aborto è un reato”. Veder negare l’essenza stessa della 194 è decisamente troppo.

Insomma, una penosissima gara tra cattolici e abortisti per magnificare una legge che ha un solo scopo: dare alla donna il potere di vita e di morte sul proprio figlio. E le “parti buone” che dovrebbero limitare questo potere, sono talmente vaghe (come l’inizio della Vita da cui sarebbe garantita la protezione, il limite all’aborto “terapeutico”, le patologie fetali “rilevanti” per limitarne il ricorso,  il “serio - grave dopo il 90° giorno -pericolo”, come accertare questo pericolo, come aiutare la donna “a rimuovere la cause che la inducono ad abortire” ecc.) da risultare praticamente inutili.

L’ipocrisia della 194 non risiede solo nell’aria fritta delle “parti buone”, ma anche nella sua impalcatura che pone al centro la salute psico-fisica della donna che ritiene di tutelare esclusivamente accogliendo la sua richiesta di aborto ma nascondendole che quell’aborto produce effetti dannosi, anche devastanti, proprio sulla sua salute.

Ormai le sindromi del post-aborto sono una terribile realtà, come ben sanno le numerose associazioni che se ne occupano, ben documentata da studi che mettono in luce sia il legame diretto tra aborto procurato e patologie mentali (vedi il poderoso rapporto della dott.ssa Priscilla K. Coleman), sia quello tra aborto volontario e patologie fisiche come il tumore al seno (vedi la ricerca del 1994 sul Journal of the National Cancer Institute che documenta rischi superiori del 50% rispetto ad altre donne).

Dunque, appare chiaro che l’aborto volontario è per la donna più pericoloso di una maternità non voluta e averlo legalizzato ha significato procurarle un danno maggiore.

La legge, dunque, si fonda su una menzogna (l’aborto come terapia e la sua legalizzazione come “male minore”). Ci sarebbero tutti i presupposti per abrogarla e trattare la maternità non voluta in maniera diversa come, ad esempio, l’adozione.

E allora, perché nessuno se ne occupa? Perché i politici cattolici non pongono la questione in Parlamento? Perché nel dibattito pubblico il “problema” sembra non esistere? Domande che richiederebbero risposte immediate vista la posta in gioco (la vita del bambino e la salute della donna), ma nessuno le dà, anche perché nessuno le pone.

Anche queste terribili contraddizioni vogliamo mettere a nudo partecipando alla Marcia Nazionale per la Vita il 10 maggio.

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